Seguendo il Pima ed il Follez, grandi amanti della montagna in tutte le sue sfaccettature, ci siamo imbarcati nell'impresa Monte Soglio.
Dopo centomila chilometri in auto attraverso strade improbabili,siamo giunti al calar delle tenebre in località Forno Canavese. Il paese era un deserto, salvo un paio di strani avventori in un bar altrettanto singolare. Trovato il ritiro pettorali si è spiegato il perché: la pro loco di Forno aveva impiegato uomini, donne, bambini, cani, gatti e chiunque altro potesse dare una mano nell'organizzazione dell'evento. Veramente bravi! Commovente per chi vive in città dove il concetto di comunità è quantomai inesistente.
La cena tra i trail runners è stata una divertente occasione di giovialità, anche perché i corridori non disdegnano qualche bella birretta e addirittura lo "sgroppino" al termine della cena. La cosa scioglie la tensione, diversamente da quanto accade tra i maratoneti puri che fanno l'ultima settimana di alimentazione in regime rigidamente scientifico.
Alla scomoda dormitina in palestra è seguita l'alzataccia delle 5 per vedere la partenza della 60km: start molto tranquillo, per scaldare i muscoli.
Poi la classica epopea colazione-caccaatutticostiprimadellapartenza, foto di rito con i tifosi, stretta di mano alle Autorità e via!
Inizio gara di studio, per capire come si comporta il trail runner medio e l'approccio giusto alla gara. La strategia attendista sembra pagare quando iniziamo ad affrontare la prima rampa su sentiero di montagna: con certe pendenze si capisce subito che non ha senso tentare di correre, ma conviene ampiamente la camminata veloce.
I pezzi semipianeggianti per il runner maratoneta sono una vera manna: correndo al proprio passo con scarso sforzo muscolare si ha il duplice risultato di rifiatare e di sorpassare gli altri (che evidentemente hanno preparazione più da camminatori che da podisti).
Sia la mia corsa che quella del Bia è stata una remuntada in grande stile, partiti dalle retrovie abbiamo superato tantissimi concorrenti, soprattutto nel falsopiani ed in discesa.
Personalmente in discesa me la sono proprio spassata, almeno finché ero fresco: mi sono gettato a rotta di collo, con l'aiuto delle fondamentali LaSportiva. Le ho usate in tutto quattro volte, ma la discesa in gara ha ripagato l'investimento: supersonico!
Al cancello del ventesimo chilometro (6 all'arrivo) una bambina made in pro loco mi ha comunicato che ero trentesimo!
La notizia mi ha suscitato grande entusiasmo e mi ha permesso di recuperare su altri due concorrenti che stavano raschiando il fondo del barile energetico, come me. Ho fatto l'ultima discesa con le ultime riserve, conservando la ventisettesima posizione fino a farmela soffiare all'arrivo: mi è mancata proprio la voglia di rispondere allo sprint, sentendomi ormai appagato.
Posso dire che lo sforzo di un trail è tutto diverso da quello di una maratona o di una mezza. E' molto muscolare e la fatica che si fa in discesa non va per nulla sottovalutata: da podista si sente la voglia di esagerare perché non si sforza di fiato, ma la discesa tecnica straccia letteralmente le gambe. Affrontare i cambiamenti di ritmo e di tipo di sforzo non è facile. Passare dalla camminata in salita alla corsa dove si fa più pianeggiante o dalla discesa alla salita può essere problematico se non si è preparati. A mio avviso serve inoltre un'ottima capacità di percepire il grado del proprio sforzo "a sensazione". Chiaramente la conoscenza del percorso sarebbe di grande aiuto.
A parte queste precisazioni, il mattino dopo la gara avevo tutto il corpo dolorante, spalle comprese. Segno che serve una preparazione a tutto tondo per affrontare questo tipo di gare.
Concludo con una considerazione personale. La corsa nel bosco, soprattutto quella veloce nei tratti in piano ed in discesa, risveglia le emozioni e gli istinti naturali della scimmia che è in noi.
Avete mica una banana o delle noccioline?