E' passato un po' di tempo ormai da quando Max ed io siamo tornati da questa missione subsahariana. Raccontarla è davvero difficile - troppe sono le emozioni, i km e le vesciche che meritano anche una sola menzione - quindi riteniamo sia il caso di dividere la nostra avvenutra in tanti post quante sono state le tappe percorse.
L'inzio, il viaggio in aereo, forse, è stata la parte più dura. Tanti, troppi scali dovuti ad un cambiamento dell'ultimo minuto nella destinazione finale.
Guerra in Tunisia, tutti in Senegal!
Questa complicazione - che però ci ha permesso di scoprire un paese davvero affascinante - ci ha fatto arrivare stanchissimi a Dakar in piena notte già preoccupati di non riuscire a recuperare le energie e le forze per la gara.
Non avevamo però, fortunatamente, fatto i conti con il fattore euforia.
Altrochè stanchezza. La mattina successiva nulla ci ha impedito di svegliarci di buon ora e cominciare un giro nella capitale con una cartina stradale trovata in ovetto Kinder in cui, in pratica, l'unica cosa che risultava essere chiara era il fatto che ci trovavamo in Africa.
Foto di rito, polizia con mitra ad ogni angolo, traffico alle stelle e casuale cambio valuta alla prima banca.
In albergo nel pomeriggio c'è stata una veloce riunione di presentazione della gara in cui abbiamo scoperto che il gruppo degli svizzeri - trattenuto nottetempo in aeroporto per problemi con il visto (non ce l'avevano n.d.r.) - era stato rilasciato dopo lunghe trattative iniziate dalla Farnesina d'oltralpe e condotte in loco da un ragazzo di cui non vogliamo svelare il nome, ma che per dovere di cronaca vi mostriamo qui in una foto rubata mentre era distratto.
Abbracci, lacrime e tanta felicità.
Risolta la questione svizzera e ricevute le prime informazioni siamo arrivati, dopo uno spettacolare ed aggressivo giro in fuoristrada sulle dune, al campo tendato in pieno deserto.
Abbiamo subito stretto amicizia con i nostri due compagni di tenda: due ragazzi fiorentini davvero simpatici!
La consegna dei pettorali e i primi metri nel Sahara ci hanno fatto salire l'adrenalina oltre che la preoccupazione. Solo per andare dalla tenda al bagno grande (il deserto n.d.r.) il quantitativo di sabbia insinuatosi nelle nostre scarpe era già spropositato.
La cena l'abbiamo passata interamente a disquisire con gli altri concorrenti sui vari tipi di ghette e noi, dopo aver capito che le nostre erano le peggiori in assoluto, siamo andati a dormire sereni con l'intenzione di correre la prima tappa in totale calma e senza farci prendere dall'ansia della prestazione.
Sono serio.
Eravamo davvero sereni.
Incoscienti forse, ma sereni.
A smorzare subito la nostra spavalderia ci ha pensato il Sahara. Il primo contatto podistico con il deserto è stato più duro del previsto: ad ogni passo la spinta si annullava e bisognava ricominciare a faticare per il passo successivo. Ci avevano detto che era così, tutti lo sanno, ma noi siamo come San Tommaso: non ci crediamo finchè non ci mettiamo il naso.
Il Garmin non valeva neppure la pena di essere guardato.
Comunque dopo qualche km di dramma abbiamo preso il nostro ritmo e tra una foto e l'altra, saltando sulle dune e sperimentando - per quanto mi riguarda - la corsa a piedi nudi abbiamo concluso i nostri 13km senza tanti patemi.
Giusto per dare un'idea di quanto eravamo rilassati e non competitivi io sono arrivato oltre la trentesima posizione alla prima tappa e tredicisimo in classifica generale alla fine di tutta la gara!
Carichi nello spirito e felici di un'avventura che finalmente era diventata reale ci siamo diretti in gruppo verso St. Louis, città (paese?!) da cui il giorno successivo sarebbe partita la tanto temuta tappa regina.
La maratona.