La gara di Marco.
Gustatevela!
"Ed eccoci al prologo! Una Gara bellissima su pendenze che mi si confanno, ci saranno si e no 2 km di falsopiano, il resto è salita o discesa, volo sulle ali dell’entusiasmo di potermi finalmente confrontare con dei veri e propri miti e mi godo la corsa fatta di saliscendi in mezzo al bosco mentre il tempo passa rapido e taglio il traguardo in seconda posizione! Sono soddisfattissimo e a pranzo festeggerò con birre gelate e pasta col cinghiale, poi tutti al mare a fare un bel bagno ristoratore.
La sera dopo un altra cena pantagruelica quando sono in branda già
sale la tensione che mi tiene sveglio coi soliti dubbi: sarò pronto? Mi sarò
preparato abbastanza? Come andranno le cose? Domande che mi rimbombano nella
testa anche la mattina successiva, sotto il gonfiabile della partenza, sono
teso e voglio partire; non è più ora del prologo, l’antipasto l’ho già mangiato
e ho paura che la portata principale mi rimanga indigesta. Con un po’ di
ritardo si parte! Già questo mi da sollievo, l’ora è giunta, vado al mio passo che
è buono e mi permette di stare nel gruppetto di testa, sono fiero e felice di
tenere il passo dei grandi campioni che ho a fianco ma cerco di rimanere
concentrato sul mio passo, sulla respirazione e sulle sensazioni che provo. In
questo momento non ho bisogno di guardare l’orologio, le ultra non sono come le
maratone, non c’è nessuna corsa contro il tempo sei solo con la corsa e con
l’ambiente che ti circonda quindi è inutile se non controproducente controllare
di continuo l’orologio, meglio ascoltarsi selezionando attentamente le
sensazioni che proviamo, abbracciare e godersi quelle buone, escludere e
relegare quelle cattive in un angolo recondito della nostra mente sperando che
non si ripropongano in seguito. Ogni tanto si scambiano delle parole, ma so
bene che devo risparmiare energie e centellino le parole mentre mi godo il
paesaggio, attraversiamo un campo archeologico, strisce tagliafuoco, boschi, saliscendi,
e dopo un paio d’ore il primo giro è finito, 30 km sono alle mie spalle e
ripassiamo dal via, è qui che, nonostante finora tutto mi sembrava stesse
filando liscio, inizio ad accusare la stanchezza, i primi due accelerano, o
sono io che rallento? Mmm, mi sa che c’è qualcosa che non va, inizio ad
ansimare e a fare fatica, guardo l’orologio e i due veri campioni si
allontanano battagliando. Io ho Vale che mi supporta e incita in sella alla sua
bici da corsa ogni volta che incrocio una strada asfaltata, ma le sensazioni
cattive che prima escludevo così facilmente ora stanno tornando alla ribalta
come uno tsunami che mi vuole travolgere: parlo di crampi, mal di testa, fame e
sete, e soprattutto solitudine.
Un detto africano dice: Se vuoi andare veloce vai solo, se vuoi andare
lontano vai in compagnia. Il traguardo è ancora lontano e gli unici miei
compagni sono i crampi che stanno arrivando inesorabili e sempre più forti
insieme a una grande voglia di fermarmi; mangio e bevo, probabilmente troppo,
indice che prima ho sbagliato, stavo mangiando e bevendo troppo poco, ma ormai
è tardi.
A tre quarti di gara, i crampi hanno la meglio e mi trovo piegato a
libro perché dritto non posso stare, sento i tendini delle cosce che si
annodano e solo stando piegato posso alleviare il dolore, dopo ore rivedo le
gambe da 5 cm e capisco che sono un cencio, se non mi passano i crampi sarò
costretto al ritiro, ma proprio allora come per magia dopo un paio di tentativi
vedo che riesco a rimettermi dritto, poi a camminare e poi addirittura a
corricchiare. I polpacci però sono andati e sono forzato a alternare corsa e
camminata; la strada è lunga e sembra non finire più, sento caldo e vado avanti
nonostante abbia la netta impressione che a momenti sverrò. A sorpresa mi
affianca un ragazzo in montain bike, che molto pazientemente mi incita e mi
accompagna incurante delle mie lamentele. A 3 km dal traguardo prima cado dai
crampi, poi quando mi rialzo faccio 3 passi e vomito litri d’acqua, da lì, paradossalmente,
inizio a stare meglio; manca poco, vado avanti, il quarto mi supera, ora sono
io il quarto, ma non posso mollare. Salitone finale, ultimo km in saliscendi,
corro e cammino come posso, e infine sento lo speaker, gli applausi, ora
nonostante i dolori lancinanti non posso non correre, passo il traguardo e
crollo a terra dopo pochi passi…
E’ ora di andare in tenda medica, vomito ancora, mi fanno una flebo di
liquidi, mi coprono con due coperte, mentre sono disteso sul letto, (ma credo
di somigliare più a Ramses nel sarcofago) arrivano a dirmi che sulla somma dei
tempi delle due gare sono arrivato terzo per un minuto e venti secondi, il
ragazzo che mi ha superato oggi mi ha dato cinque minuti scarsi mentre il
giorno prima ne aveva presi sei, sono raggiante, il risultato è ottimo, sono
sul podio per un solo minuto su 6 ore e 23 minuti! Ma la vera vittoria è quella
su me stesso, non ho mollato, ho tenuto duro e nonostante le fatiche e i dolori
non ho lasciato perdere, mi sono spremuto finché ho potuto, finché il traguardo
non era alle mie spalle!
Una volta ripresomi vado a mangiare e bere, è una grande festa, parlo
molto, faccio e ricevo complimenti da Calcaterra, Salaris e tutti gli altri
corridori, oggi siamo tutti campioni e tutti sognatori! Si avvicina il figlio
del ragazzo che mi ha accompagnato in bici, un ragazzo di 15 anni appassionato
di atletica che mi dice che l’anno prossimo vuole correre i 60 km, sono
stupito, soprattutto perché dalla determinazione nei suoi occhi capisco che ce
la farebbe, ma gli consiglio di pazientare, non credo che questo genere di
sofferenze sia adatto a un quindicenne.
E’ proprio pensando a lui che voglio concludere, venerdì all’apertura
dell’evento una domanda ricorrente era PERCHE’ correre gare così? La risposta
non si dà con le parole; le emozioni , le
gioie e i dolori sono così forti e contrastanti che esprimersi a parole non
rende; avrei perciò voluto che chiunque se
lo chiede avesse potuto vedere quella fiamma che ardeva negli occhi di quel
ragazzino, entusiasmo e determinazione… eh sì, non c’è dubbio, le ultra sono
una questione di CUORE!"