martedì 10 novembre 2009

Solitudine


E' risaputo che la corsa non è uno sport di squadra. Proprio per questo molti la snobbano, non trovandola divertente in quanto non ludica.
Per me vale la pena recuperare i vecchi stidi classici e la conseguente (im) perizia negli approfondimenti etimologici: divertente - dal verbo latino divertire - è quell'attività che fa prendere altra direzione e, quindi, nel senso figurato dell'accezione italiana, è quell'attività che distoglie e distrae l'animo da cure e pensieri molesti.
Stabilita tale base lessicale mi spingo nell'inevitabile soggettivismo della statuizione: la corsa è mooolto più divertente di altri sport ludici!
E forse è anche ludica: il latino ludus non demanda in alcun modo ad attività per forza di gruppo né tantomeno ad attività prive di serietà (erano ludi non solo le burle, gli scherzi, gli spettacoli, ma anche la palestra dei gladiatori e la scuola infantile!!), cosa peraltro testimoniata dalla semplice constatazione che i bambini quando giocano non scherzano affatto, ma anzi, sono serissimi.
Ma non è questo il punto.
Passato un anno e due maratone dagli esordi devo arrendermi al dato di fatto che correre è per chi riesce a divertirsi nello stare da solo per chilometri, al buio, sotto l'acqua, con trentacinque gradi, accompagnato unicamente da una crescente fatica. Bel quadretto!
Sotto sotto però questo è quanto spaventa tutti: io stesso e i miei amici abbiamo iniziato insieme, prefiggendoci di allenarci insieme, di fare la gara insieme... insomma, all'italiana!
Lo abbiamo fatto per alcuni mesi, ciacchierando durante le sessioni e così fino a Parigi.
Ma ecco la prova della verità: siamo partiti in gruppo e abbiamo perso un elemento dopo trecento metri, un altro dopo cinque chilometri, uno al venticinquesimo e, infine, i due reduci si sono staccati in prossimità del trentesimo. Morale: ognuno ha corso la fase più dura da solo...
E così ad Amsterdam: partiti in cinque siamo arrivati tutti separatamente, correndo quasi la totalità della maratona in solitario.
Chiunque l'abbia sperimentato, poi, può testimoniare che se si sbatte sul muro del trentacinquesimo chilometro non c'è compagnia che salvi e si può contare solo su una mente salda e sulla propria fede - che prende anche chi non l'ha mai avuta - nell'Altissimo.
Correre è anche questa sfida psicologica contro l'umano timore della solitudine, d'altra parte per i classici l'eroe è l'uomo a cui stanno strette le fattezze umane, è il semidio.

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