venerdì 29 maggio 2009

Faber est quisque fortunae suae


"Mi rendo sempre più conto che il risultato è conseguenza matemetica di come ci si è allenati", ci ricorda spesso il Mentore nelle nostre chiacchierate.
Riflettendoci su mi accorgo di non aver ben compreso fin da subito la sua affermazione, ma di capirla e averla fatta mia solo ora, dopo aver emulato Filippide (ma senza morire alla fine!) per la prima volta.
Se pensate che per riuscire a concludere una maratona servano particolari doti fisiche innate e che questa possibilità sia preclusa ai più siete completamente fuori strada: la maratona è a portata di tutti coloro che hanno le palle di allenarsi con un minimo di disciplina e di tenere sotto controllo il proprio peso...
Si, lo so, il delirio in toni epici è più divertente e stimola i sogni di gloria anche dei ciccioni teledipendenti, ma la corsa non è un videogame in cui basta far presa su pollici ed indici. Mi pare un bel messaggio, tutti possono farcela, calandosi nei panni dell'uomo determinato e, vi accontento, eroico! Dopo tutto Achille pié veloce poteva vantarsi delle sue doti per i natali semidivini, ma senza un addestramento giornaliero non sarebbe andato da nessuna parte...avrei voluto vederlo a rincorrere Ettore intorno alle mura di Troia senza uno straccio di allenamento!
E senza allenamento si rischia di farsi del male: io stesso ho visto un signore essere rianimato al quarantesimo chilometro... e tenete anche presente che senza allenarsi Filippide è morto!!
Subirò le bastonate degli altri perché comunico ai profani questi particolari -caro lettore, lo faccio per te- ma devo ammettere, per dare una speranza alle nuove leve, che il nostro allenamento è stato abbastanza approssimativo... avevamo un bellissimo progetto, che poi non siamo rusciti a seguire del tutto, chi per infortuni, chi per lavoro e tutti un po' per inesperienza.
Grazie al nostro Mentore però, non abbiamo tralasciato i fondamentali che sono base imprescindibile per arrivare al traguardo: tanto "fondo" lento e i cosiddetti "lunghissimi". Sempre il Mentore ci ha catechizzati sull'alimentazione: mezzo piatto di pasta, mezza bistecca, mezzo bicchiere di vino e, inevitabilmente, mezzo caffé!
Al bar ti guardano un po' male quando chiedi mezzo caffé senza zucchero, però, credetemi, ne vale la pena!
Giusto per avere un parametro scarsamente tecnico, ma abbastanza indicativo, bisogna correre tra i 40 e 60 chilometri a settimana, a seconda delle settimane di carico. In ogni caso si trovano mille milioni di tabelle possibili, personalmente faccio riferimento al sito www.albanesi.it, che contiene una gran vastità di informazioni utili.

Albanesi -è una persona- disincanterebbe anche un testimone di Geova: i ciccioni non arrivano da nessuna parte; se non ti alleni meglio se stai casa; l'alcool e i dolci sono come il curaro! La lettura dei suoi articoli è utilissima per darsi una regolata, anche se seguire alla lettera i suoi imperativi non sarebbe proprio facilissimo (e noi sulle birre e le pastasciutte sgarriamo eccome!), però siccome quando leggi prendi paura e cominci a pensare che morirai tra un minuto di infarto ti metti un minimo in riga...
Per iniziare vi consiglio di provare il rassicurante test del moribondo (http://www.albanesi.it/Paginetest/sportivi.htm) grazie al quale il 50% di voi scoprirà di aver messo a repentaglio la propria sopravvivenza più di un dissidente cambogiano che si è lasciato catturare dagli khmer rossi!
Come avrete capito siete arrivati ad un bivio: A) smettere di leggere il blog per dedicarsi ad un'Oktoberfest perenne; B) continuare a frequentare queste pagine facendo un atto di fede per credere che non siamo scemi!
Voi siete il faber...

sabato 23 maggio 2009

Epifania dell'eroe

E' giunto il momento, dopo queste doverose introduzioni, di parlarvi di come nasce un eroe. Farò ciò nell'attesa che il collega maratoneta torni in patria dal pellegrinaggio parigino, ove si è recato in questi giorni solamente al fine di deporre un mazzo di fiori sotto l'Arco di Trionfo, in compagnia di Maria Chiara Z. (la privacy mi impedisce di essere più preciso) nostra madrina ufficiale nominata a seguito di una cerimonia paragonabile solamente all'incoronazione di Carlo Magno (notte di Natale dell'800, ndr).
Era un periodo duro e buio, le giornate duravano poco, la pioggia cadeva incessante sulla faccia di chi andava in Tribunale in motorino senza parabrezza, l'esercito presidiava la città controllando che tutti si sbronzassero a dovere, la crisi economica si abbatteva su di noi come la ghigliottina sul collo di Robespierre e la serie C era ancora la dura realtà di ogni maledetta domenica. Per questi ed altri motivi si sentiva necessità che qualcuno guidasse i propri amici e parenti fuori dalla crisi, bisognava prendersi questa responsabilità morale nell'attesa che il sole sorgesse nuovamente sulla città scaligera, c'era un urgente bisogno di eroi e noi eravamo le persone adatte per compiere quell'impresa necessaria affinchè la luce trionfasse nuovamente sulle tenebre.
L'eroe è colui che con la sua impresa si sacrifica al fine di permettere agli altri di sopravvivere, noi abbiamo fatto esattamente questo: abbiamo sofferto, ci siamo sacrificati e grazie a noi amici e parenti si sono risollevati ed hanno capito che effettivamente nella vita tutto è possibile. Nessuno deve cadere nell'errore di pensare che le nostre epiche imprese siano fine a se stesse, noi infatti, col nostro enorme coraggio, agiamo per il bene comune, per un fine superiore: permettere agli altri di vivere nel riflesso delle nostre gesta. Non siamo presuntuosi, arroganti o tronfi, siamo semplicemente realisti: siamo degli eroi. Il nostro essere così è dato dal fatto che "la fiducia in se stessi è l'essenza dell'eroismo", non possiamo, infatti, non essere fieri di noi ogni mattina quando apriamo gli occhi, abbiamo bisogno di questa convinzione sia per fare una maratona, che, soprattutto, per attraversare il deserto e tornare, possibilmente, vivi, permettendo così a voi di poter vivere nel riflesso della nostra magnificenza.
Il sopravvivere alle imprese che compiremo in futuro non è così scontato, non lo era prima di andare a Parigi, non lo sarà ad Amsterdam e soprattutto non lo sarà nel Sahara; ma questo non vi deve preoccupare: il sacrificio, come detto, rientra nella mentalità dell'eroe, fa parte del suo essere e noi lo sappiamo, ne siamo pienamente consapevoli, perchè in realtà l'eroe è immortale in quanto per vivere non ha bisogno del suo corpo perchè la sua anima vivrà per sempre, insieme a quella degli altri eroi, alla sinistra di Zeus (alla destra c'è già il suo avvocato).
Chiaramente non tutti possono essere eroi; l'essere eroe è un dono che fa Ares al momento del concepimento e che si acquisisce solo alla nascita, ma non è un diritto esserlo, in quanto bisogna prenderne consapevolezza per non sprecarlo. Troppi al mondo non sono diventati eroi pechè incapaci di utilizzare al meglio il dono fattogli dal Dio della Guerra. Noi, infatti, lo siamo sempre stati, solo che non lo sapevamo ancora. L'abbiamo scoperto dopo tutte quelle sere che ci siamo allenati sotto la pioggia e nel pantano e tutte quelle mattine che correvamo per 20 e più km con ancora un mal di testa fotonico dalla sera prima; in questi momenti è cresciuta dentro di noi la convinzione che qualcosa era cambiato, che dovevamo scegliere il nostro destino, era giunto il momento delle decisioni irrevocabili.
Davanti al bivio: soffrire per l'umanità o continuare a sguazzare nella mediocrità, la scelta è stata, per noi, facile e scontata ed è con questa scelta che ci siamo finalmente resi conto che, dopo 26 anni di vita, il nostro scopo era compiere imprese titaniche, imprese che permetteranno a chi ci sta vicino, di superare ogni avversità in nome e nel segno del loro precursore, il loro eroe.
Quando nella vostra vita vi troverete davanti ad un bivio sappiate che in realtà non dovrete decidere se andare dall'una o dall'altra parte, perchè, se siete degli eroi, il vostro destino è già scritto.
Save the cheerleader, save the world.

mercoledì 20 maggio 2009

Il mentore


Il dado è tratto. Lo starter ha finalmente sparato il colpo di pistola. I cancelletti si sono aperti.
Si salvi chi può.
Dopo l'iscrizione, avvenuta con forte convinzione nei propri mezzi per certi e puro orgoglio per altri (che non volevano rinnegare quanto affermato nella colossale bevuta della sera in cui la decisione fu presa), è cominciato il dialogo con amici e parenti. La quantificazione dei fantomatici 42 km e 195 metri la faceva da padrona: "è come andare di corsa fino ad Avio" dichiaravano certi, "ma no sarà come andare 87 volte andata e ritorno da casa tua al supermercato", rispondevano i più precisi; in tutto ciò si inseriva lo scetticismo generale, gli amici di sempre non avevano fiducia nel compimento dell'impresa, i genitori si domandavano il perchè di un figlio così squilibrato, le nonne pregavano affinchè il Signore ci proteggesse dagli agguati dei Vietcong lungo il percorso.
Le chiacchiere erano continue, ci riempivamo la bocca di qualcosa di cui in realtà non sapevamo nulla, stavamo per combattere il drago, ma non avevamo nemmeno l'armatura.
In tutto questo parlare e parlare noi non facevamo altro che lavorare di giorno e corricchiare di sera un paio di volte a settimana -non nel fine settimana però perchè guai a chi ci tocca lo sci- con quella spavalderia che è sinonimo di poca furbizia.
Così non potevamo andare avanti, necessitavamo di qualcuno che ci portasse sulla retta via, uno spirito guida, un condottiero che aveva già affrontato simili battaglie, un MENTORE.
Il Garzanti definisce "mentore" un consigliere fidato, una guida saggia, un precettore, proprio quello che serviva a noi; la scelta fu secca e decisa, nessun dubbio, nessuna titubanza, doveva essere lui: il Latin Marathon. Figura leggendaria, padre di un caro amico, esperienza di maratone fin oltre oceano e subito disponibile a dispensare consigli a noi giovani padawan sprovveduti che non sapevamo nulla e pendevamo dalle labbra del nostro nuovo maestro jedi.
Infrasettimanalmente ci siamo quindi recati, con la stessa voglia di apprendere che gli scolari hanno il primo giorno di scuola, presso il castello del mentore, senza sapere nulla di maratone, ma avendo la certezza che per correre è necessario mettere un piede davanti all'altro, certezza che comunque vacillava ai nostri occhi tanto ingenui, quanto però traboccanti di entusiasmo nel vedere che finalmente l'impresa stava diventando reale e che era davvero ora di cominciare a farsi il culo.
Dopo un paio di incontri in cui il mentore veniva tempestato di ogni genere di domanda, rispondendo sempre precisamente e dandoci anche dei compiti da fare a casa, sapevamo che:
- non avevamo le scarpe adatte;
- non avevamo un programma;
- non sapevamo nulla di alimentazione pre-gara e durante la gara;
- certi di noi (non si fanno nomi) erano anche leggermente sovrappeso a causa di troppe serate in cui si prendono decisioni folli (v. post precedente).
Insomma un mezzo disastro.
Due cose giravano però a nostro vantaggio: la giovane età e la voglia di farcela ad ogni costo, che dette così sembrano stupidaggini ma probabilmente sono proprio i due elementi che, assieme ad un bellissimo paio di Asics Cumulus, ci hanno permesso di passare "sotto" l'arco di trionfo il 5 Aprile dell'anno domini 2009.
Il mentore ci ha spiegato di tutto e di più, dalle tipologie di allenamento a cosa prendere per evitare le crisi del trentacinquesimo chilometro, da quali muscoli vanno allenati a che dieta tenere. Rimasto anche in mutande davanti alla nostra ignoranza campestre è sempre stato disponibile via mail o via telefono a darci delle dritte che noi cercavamo di seguire nel miglior modo possibile, che probabimente, però, era il peggiore immaginabile.
Figura epica, il mentore è colui al quale Ulisse affida il piccolo Telemaco prima di partire per la guerra di Troia, è colui che indica all'eroe la strada da percorre, lo segue passo dopo passo ed è ciò che l'eroe stesso vorrebbe essere.
Questo è il nostro mentore, perchè noi siamo gli eroi.

Sociologia retrospettiva


L'attento lettore avrà avvertito come l'avventura parigina non sia il mero risultato di una scelta casuale e avventata di quattro amici al bar - anche perché i quel caso avremmo voluto cambiare il mondo, non correre una maratona, e tra gli autori di questo blog figurerebbe tal Paoli Gino - ma la lapalissiana conseguenza di profonde ragioni psico-socio-culturali.
Il barbaro uso dei ragazzi di oggi di colorare le proprie serate di esagerate sbevazzate; la sindrome pan-eroica che sviluppa in loro l'ebbrezza alcolica; il sentimento di dannunziana onnipotenza che ne deriva; l'eccitamento provocato dall'atteggiamento di sfida reciproca a compiere improbabili gesta che assumono i membri del gruppo: tutti indiscutibili e fondati motivi per suggellare un patto privo di senso.
Certo, di patti del genere, pieni di promesse o propositi mai perseguiti, è piena la memoria di ciascuno di noi, ma questa volta è scattata una molla ulteriore.
Generalmente (secondo autorevole dottrina in circa l'87,24% dei casi. Cfr V. Lesentini, Statistica Pratica, Padova, 2005, pp. 72 e ss.) questo tipo di promesse o dichiarazioni, trovano pronta smentita il mattino successivo, quando il soggetto trova sul telefonino messaggi del giorno precedente, inviatigli da qualche amico sulla strada di casa, inneggianti folli missioni cui ci si è collettivamente impegnati a partecipare. A quel punto ci sono tre tattiche applicabili: la prima -la più scontata- il silenzio nella quasi certezza che nessuno si ricorderà o vorrà ricordarsene; la seconda, lo specchio riflesso/sfida a mente fredda ("caro mio voglio proprio vederti a fare la potatura degli ulivi a morsi, ahah"), con il quale si schernisce l'amico deferendo a lui la prima (eventuale e remota) mossa; la terza, il bluff, condizionando la propria disponibilità a fare quanto promesso purché l'amico adempia a sua volta al proprio impegno (che lui non si ricorda, in quanto il bluffatore lo inventa sul momento: e.g. "per me non c'è problema a guidare un auto premendo i pedali con le mani, niente di più facile, basta che tu mi metta a disposizione la tua golf nuova come avevi detto").
Di queste tecniche note ai più, nel nostro caso, si è vista utilizzare la prima...dopo il patto solenne stipulato al bar del Pazzo che prevedeva la partecipazione a una maratona (niente pericolo certo di vita stavolta) per qualche settimana nessuno ha proferito verbo.
Ma allora cosa è cambiato?
...in irrisione delle ben note ritualità comportamentali di cui ho detto sopra, uno di noi ha comunicato agli altri il dato di fatto: "mi sono iscritto a Parigi: 5 Aprile 2009". Inevitabilmente si è risvegliato l'orgoglio degli altri (anche se nessuno di noi si riconosce negli ideali leghisti, dopo tutto, siamo pur sempre veneti e, di conseguenza, ce l'abbiamo duro) che, a catena hanno formalizzato gli adempimenti, cioè hanno pagato l'iscrizione.
Bene, ammetto di aver reso un po' troppo solenne il racconto, ma più o meno è andata così... il lettore -stavolta simpatico- si ritenga libero di calcolare la radice quadrata dell'epopea!

Gli albori parigini



"Se vuoi vincere qualcosa corri i 100 metri, se vuoi vivere un'esperienza corri una maratona".
Niente di più vero, provare per credere.

Questo blog vuole essere una sorta di diario di un percorso iniziato ad ottobre del 2008, in cui quattro ragazzi, in preda ad una prematura crisi di mezza età, decidono di iscriversi alla Maratona di Parigi, tenutasi il 5 aprile 2009, per provare la sensazione di trovarsi da soli, con le proprie forze (?!) a percorre 42 km e 195 metri, ascoltando le (drammatiche) sensazioni del proprio corpo e con l'unico obiettivo di tagliare il traguardo posto in prossimità dei maestosi e a dir poco suggestivi Champs-Élysées.
Quella che doveva essere una mattinata di sofferenza, si è trasformata in un tourbillon di sensazioni ed emozioni completamente inaspettato: migliaia di persone di decine di nazionalità diverse stavano affrontando al nostro fianco quello che per noi sembrava essere, anche a causa dell'allenamento pigro e dei continui infortuni, impossibile: correre per 42 km e 195 fuckin' metri.
Migliaia di persone ai lati della strada che incitavano tutti i partecipanti, svenimenti a causa della troppa fatica, sgomitate per una bottiglietta d'acqua e una fetta d'arancia ai punti di ristoro, momenti di sconforto in cui l'arrivo è lontano anni luce e poi finalmente il traguardo e una sensazione incredibile di aver compiuto, nel nostro piccolo, un'impresa.
Poi il dolore, l'impossibilità nel camminare, la sofferenza nel fare le scale della metropolitana, ma questo è il prezzo che abbiamo pagato volentieri (?!).

Quello che cercheremo di fare con questo diario è non solo raccontare avventure e disavventure cui andremo incontro durante le corse che ci siamo ripromessi di fare, ma anche trasmettere delle sensazioni che neanche noi pensavamo di provare, sensazioni che, vi assicuro, valgono ogni metro percorso.



Il nostro "viaggio" all'interno del mondo della corsa è iniziato così, per gioco, ed ora quello che vogliamo fare, dopo aver affinato la nostra misera tecnica e rinforzato il nostro flaccido fisico con altre corse e maratone, è correre nel deserto del Sahara per 240 km con uno zaino in spalle e due palle roventi nei pantaloni.