Il dado è tratto. Lo starter ha finalmente sparato il colpo di pistola. I cancelletti si sono aperti.
Si salvi chi può.
Dopo l'iscrizione, avvenuta con forte convinzione nei propri mezzi per certi e puro orgoglio per altri (che non volevano rinnegare quanto affermato nella colossale bevuta della sera in cui la decisione fu presa), è cominciato il dialogo con amici e parenti. La quantificazione dei fantomatici 42 km e 195 metri la faceva da padrona: "è come andare di corsa fino ad Avio" dichiaravano certi, "ma no sarà come andare 87 volte andata e ritorno da casa tua al supermercato", rispondevano i più precisi; in tutto ciò si inseriva lo scetticismo generale, gli amici di sempre non avevano fiducia nel compimento dell'impresa, i genitori si domandavano il perchè di un figlio così squilibrato, le nonne pregavano affinchè il Signore ci proteggesse dagli agguati dei Vietcong lungo il percorso.
Le chiacchiere erano continue, ci riempivamo la bocca di qualcosa di cui in realtà non sapevamo nulla, stavamo per combattere il drago, ma non avevamo nemmeno l'armatura.
In tutto questo parlare e parlare noi non facevamo altro che lavorare di giorno e corricchiare di sera un paio di volte a settimana -non nel fine settimana però perchè guai a chi ci tocca lo sci- con quella spavalderia che è sinonimo di poca furbizia.
Così non potevamo andare avanti, necessitavamo di qualcuno che ci portasse sulla retta via, uno spirito guida, un condottiero che aveva già affrontato simili battaglie, un MENTORE.
Il Garzanti definisce "mentore" un consigliere fidato, una guida saggia, un precettore, proprio quello che serviva a noi; la scelta fu secca e decisa, nessun dubbio, nessuna titubanza, doveva essere lui: il Latin Marathon. Figura leggendaria, padre di un caro amico, esperienza di maratone fin oltre oceano e subito disponibile a dispensare consigli a noi giovani padawan sprovveduti che non sapevamo nulla e pendevamo dalle labbra del nostro nuovo maestro jedi.
Infrasettimanalmente ci siamo quindi recati, con la stessa voglia di apprendere che gli scolari hanno il primo giorno di scuola, presso il castello del mentore, senza sapere nulla di maratone, ma avendo la certezza che per correre è necessario mettere un piede davanti all'altro, certezza che comunque vacillava ai nostri occhi tanto ingenui, quanto però traboccanti di entusiasmo nel vedere che finalmente l'impresa stava diventando reale e che era davvero ora di cominciare a farsi il culo.
Dopo un paio di incontri in cui il mentore veniva tempestato di ogni genere di domanda, rispondendo sempre precisamente e dandoci anche dei compiti da fare a casa, sapevamo che:
- non avevamo le scarpe adatte;
- non avevamo un programma;
- non sapevamo nulla di alimentazione pre-gara e durante la gara;
- certi di noi (non si fanno nomi) erano anche leggermente sovrappeso a causa di troppe serate in cui si prendono decisioni folli (v. post precedente).
Insomma un mezzo disastro.
Due cose giravano però a nostro vantaggio: la giovane età e la voglia di farcela ad ogni costo, che dette così sembrano stupidaggini ma probabilmente sono proprio i due elementi che, assieme ad un bellissimo paio di Asics Cumulus, ci hanno permesso di passare "sotto" l'arco di trionfo il 5 Aprile dell'anno domini 2009.
Il mentore ci ha spiegato di tutto e di più, dalle tipologie di allenamento a cosa prendere per evitare le crisi del trentacinquesimo chilometro, da quali muscoli vanno allenati a che dieta tenere. Rimasto anche in mutande davanti alla nostra ignoranza campestre è sempre stato disponibile via mail o via telefono a darci delle dritte che noi cercavamo di seguire nel miglior modo possibile, che probabimente, però, era il peggiore immaginabile.
Figura epica, il mentore è colui al quale Ulisse affida il piccolo Telemaco prima di partire per la guerra di Troia, è colui che indica all'eroe la strada da percorre, lo segue passo dopo passo ed è ciò che l'eroe stesso vorrebbe essere.
Questo è il nostro mentore, perchè noi siamo gli eroi.
Si salvi chi può.
Dopo l'iscrizione, avvenuta con forte convinzione nei propri mezzi per certi e puro orgoglio per altri (che non volevano rinnegare quanto affermato nella colossale bevuta della sera in cui la decisione fu presa), è cominciato il dialogo con amici e parenti. La quantificazione dei fantomatici 42 km e 195 metri la faceva da padrona: "è come andare di corsa fino ad Avio" dichiaravano certi, "ma no sarà come andare 87 volte andata e ritorno da casa tua al supermercato", rispondevano i più precisi; in tutto ciò si inseriva lo scetticismo generale, gli amici di sempre non avevano fiducia nel compimento dell'impresa, i genitori si domandavano il perchè di un figlio così squilibrato, le nonne pregavano affinchè il Signore ci proteggesse dagli agguati dei Vietcong lungo il percorso.
Le chiacchiere erano continue, ci riempivamo la bocca di qualcosa di cui in realtà non sapevamo nulla, stavamo per combattere il drago, ma non avevamo nemmeno l'armatura.
In tutto questo parlare e parlare noi non facevamo altro che lavorare di giorno e corricchiare di sera un paio di volte a settimana -non nel fine settimana però perchè guai a chi ci tocca lo sci- con quella spavalderia che è sinonimo di poca furbizia.
Così non potevamo andare avanti, necessitavamo di qualcuno che ci portasse sulla retta via, uno spirito guida, un condottiero che aveva già affrontato simili battaglie, un MENTORE.
Il Garzanti definisce "mentore" un consigliere fidato, una guida saggia, un precettore, proprio quello che serviva a noi; la scelta fu secca e decisa, nessun dubbio, nessuna titubanza, doveva essere lui: il Latin Marathon. Figura leggendaria, padre di un caro amico, esperienza di maratone fin oltre oceano e subito disponibile a dispensare consigli a noi giovani padawan sprovveduti che non sapevamo nulla e pendevamo dalle labbra del nostro nuovo maestro jedi.
Infrasettimanalmente ci siamo quindi recati, con la stessa voglia di apprendere che gli scolari hanno il primo giorno di scuola, presso il castello del mentore, senza sapere nulla di maratone, ma avendo la certezza che per correre è necessario mettere un piede davanti all'altro, certezza che comunque vacillava ai nostri occhi tanto ingenui, quanto però traboccanti di entusiasmo nel vedere che finalmente l'impresa stava diventando reale e che era davvero ora di cominciare a farsi il culo.
Dopo un paio di incontri in cui il mentore veniva tempestato di ogni genere di domanda, rispondendo sempre precisamente e dandoci anche dei compiti da fare a casa, sapevamo che:
- non avevamo le scarpe adatte;
- non avevamo un programma;
- non sapevamo nulla di alimentazione pre-gara e durante la gara;
- certi di noi (non si fanno nomi) erano anche leggermente sovrappeso a causa di troppe serate in cui si prendono decisioni folli (v. post precedente).
Insomma un mezzo disastro.
Due cose giravano però a nostro vantaggio: la giovane età e la voglia di farcela ad ogni costo, che dette così sembrano stupidaggini ma probabilmente sono proprio i due elementi che, assieme ad un bellissimo paio di Asics Cumulus, ci hanno permesso di passare "sotto" l'arco di trionfo il 5 Aprile dell'anno domini 2009.
Il mentore ci ha spiegato di tutto e di più, dalle tipologie di allenamento a cosa prendere per evitare le crisi del trentacinquesimo chilometro, da quali muscoli vanno allenati a che dieta tenere. Rimasto anche in mutande davanti alla nostra ignoranza campestre è sempre stato disponibile via mail o via telefono a darci delle dritte che noi cercavamo di seguire nel miglior modo possibile, che probabimente, però, era il peggiore immaginabile.
Figura epica, il mentore è colui al quale Ulisse affida il piccolo Telemaco prima di partire per la guerra di Troia, è colui che indica all'eroe la strada da percorre, lo segue passo dopo passo ed è ciò che l'eroe stesso vorrebbe essere.
Questo è il nostro mentore, perchè noi siamo gli eroi.
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