Eccoci qui, svegli da poco e tutti intenti nel nutrirci delle nostre prelibate fette biscottate con marmellata, ma in realtà non abbiamo molta fame: la tensione è decisamente maggiore del previsto.
Sbrigate le operazioni nutrizionali nel minor tempo possibile ci raduniamo nuovamente, dopo il rigoroso tentativo di liberazione intestinale, per un'impresa che forse in difficoltà supera la maratona stessa: il fissaggio del pettorale.
Aperta parentesi
Quando il giorno precedente ci eravamo recati con molta solerzia a ritirare tutto il kit del maratoneta, eravamo fermamente convinti che il pettorale fosse una specie di adesivo gigante da appiccicare, senza troppi problemi, sulle nostre prestigiose magliette tecniche. Ma così non era. Abbiamo ben presto scoperto, infatti, che il pettorale risultava invece essere costitutito da normalissima carta priva di una qualsiasi parvenza di adesivo e/o colla, ma con 4 buchi 4 ai 4 angoli tramite i quali far passare delle spille da balia, in modo tale da fissare il nostro numero (e nome!) alla t-shirt.
Tali, fondamentali, spille da balia, che se usate di mattina presto risultano essere taglienti come le katane dei samurai, venivano gentilmente donate agli eroi dagli addetti alla vestizione posizionati subito dopo i controllatori di certificati medici, in pratica a sinistra prima dei distributori di gadget inutili per capirsi; fin qui sembra tutto facile, ma invece no: l'imprevisto è sempre dietro l'angolo, specilmente se la testa te la dimentichi in metropolitana.
Per farla breve non avevamo visto la fantomatica zona in cui venivano distribuite queste maledette spille da balia e, quando ci siamo resi conto che fare 42km e 195m con un foglio di carta in mano sarebbe stato alquanto scomodo, siamo andati a caccia di spille per mezza Parigi, con la stessa foga con cui un'adoloscente cerca di infilare una banconota sempre troppo stropicciata nel distributore automatico di preservativi. Trovate in un supermercato, mi son fumato una bella sigaretta per stemperare la tensione, l'operazione era compiuta, James Bond sarebbe stato fiero di noi.
Chiusa parentesi
Risolto il problema pettorale, chi decentemente chi alquanto goffamente, i nomi non si fanno mai, usciamo in direzione fermata della metro per incontrarci con il quinto eroe, colui che avrebbe sfondato il muro delle 4 ore. Lungo la strada, e soprattutto in metro, ci viene da sorridere più e più volte: in giro ci sono solo maratoneti, assonnati ma pur sempre maratoneti. Usciti dalla fermata della metro una scena stupenda davanti a noi: un fiume umano di persone sugli
Champs-
Élysées sovrastato dall'imponente Arco di Trionfo, ci mancava solo il buon vecchio Napoleone ed eravamo pronti per la campagna di Russia (possibilmente non con lo stesso risultato però). Ci posizioniamo in fondo in fondo proprio, visto che ci eravamo iscritti con il target time più alto possibile, in quanto 6 mesi prima non sapevamo neanche correre in pratica. Nell'attesa beviamo acqua anche se non abbiamo sete, facciamo tanta din din anche se non ci scappa, chiacchieriamo tra di noi anche se non abbiamo molta voglia di parlare: la sensazione predominante è l'aggrovigliarsi delle budella, dicesi anche "ansia da prestazione".
Al colpo di pistola tanto attesso non succede nulla, passa qualche minuto e siamo ancora fermi, carichi come delle molle, ma ancora fermi: il fiume umano si muove lento, quasi timoroso, e noi lì che ci guardiamo attorno ansiosi di iniziare a correre e nel frattempo attenti a non cadere (per terra alla partenza viene abbandonato di tutto!). Dopo 13 interminabili minuti dall'effettiva perenza dei primi passiamo finalmente sotto lo Start e iniziamo a correre, la nostra Maratona è cominciata.
Purtroppo fin da subito perdiamo uno di noi che, infortunato già da un paio settimane, decide di andare piano per cercare di arrivare il più lontano possibile (alla fine ce la farà a passare sotto il traguardo con le lacrime agli occhi dalla felicità: una settimana prima zoppicava anche a camminare.. e poi mi chiedono perchè siamo degli eroi..). Io e gli altri tre proseguiamo compatti, incontriamo addirittura, quasi subito, il Mentore, ma lo perdiamo nel giro di pochi metri, forse era una visione o una specie di spirito guida.
Cercando di non cadere nell'errore di correre troppo veloci nei primi km ed esaurire le energie troppo presto, ascoltiamo i tempi sul km che ci da il metronomo del gruppo (registrato agli annali anche come moroso della madrina) e chiacchieriamo del più e del meno. Al rifornimento dell'ottavo km perdiamo per strada un altro eroe a causa della troppa ressa, ci dobbiamo addirittura fermare ed aspettare che la gente defluisca; quando il Generale, l'eroe che abbiamo perso al rifornimento, compare incredibilmente in lontananza dinnanzi a noi con il suo sgargiante spolverino giallo canarino, lo raggiungiamo e, galvanizzati, proseguiamo insieme. Ma non per molto. La nostra punta di diamante, saltellante come una gazzella nella savana, continua ad aumentare il ritmo e il Generale decide di lasciarci andare e di proseguire del suo passo. Scelta saggia, ricordatelo.
Siamo al dodicesimo km e abbiamo già perso due elementi, c'è tensione, ma anche una buona dose di ottimismo: tra integratori e adrenalina siamo su di giri!
Nutrendoci di tutto quello che troviamo ai punti di ristoro (poco, ma con regolarità) proseguiamo la nostra gara abbastanza agili, ma sempre più silenziosi.. A strapparci più di un sorriso e qualche saluto sono le ali di spettatori che incitano, ad uno ad uno, tutti i trentamila eroi, leggendo il nome sul pettorale ben fissato dalla 4 katane di cui sopra. Davvero pelle d'oca.
Ogni tanto un papà si ferma, al km concordato, a salutare i figli che sono lì a vederlo, oppure un fidanzatino ruba un bacio alla sua bella che lo guarda dal lato della strada sperando che il suo principe non crepi correndo come un idiota. Si alternano scene ridicole, come quel francese travestito in modo tale da sembrare Chabal, giocatore di rugby soprannominato l'orco, e scene davvero commoventi, come quei quattro amici che spingono e tirano una carrozzina fatta apposta per l'occasione per portare un ragazzo disabile fin sotto il traguardo.
Emozioni di ogni tipo, sensazioni strane si susseguono e la fatica comincia a farsi sentire. Al trentesimo km anche noi tre che correvamo insieme ci separiamo, ognuno del suo ritmo, aumentare o diminuire può significare la fine. Iniziano così 10-12 km in solitaria di, almeno per me, completa alienazione mentale (non oso neanche immaginare gli altri due rimasti indietro che se la son fatta quasi tutta da soli), prima lungo la Senna e poi all'interno di un parco orribile di cui non ricordo neanche il nome; il male alle gambe comincia a farsi sentire sempre più forte, varie visioni si susseguono davanti ai nostri occhi, ma anche, questo per tutti noi, sale la consapevolezza, una volta passato il trentacinquesimo km, che il traguardo l'avremmo tagliato di sicuro, a costo di arrivare il giorno dopo strisciando.
In questa fase si vede proprio la gente che non ce la fa più, molti camminano, certi svengono (una signora davanti a me, mentre correva, si è letteralmente accasciata addosso a suo marito), altri rischiano di morire, come il defibrillato di cui ai post precedenti.
La crisi del trentacinquesimo km è scongiurata, qualcuno di noi fatica un po' di più negli ultimissimi km, totalmente privo di forze, ma ormai è fatta, curva finale, piccolo rettilineo e striscione dell'arrivo.
La medaglia è nostra, l'impresa è compiuta, non andiamo a far compagnia a Filippide.
Only the brave, è proprio il caso di dirlo.