giovedì 25 giugno 2009

La consapevolezza dell'eroe


Eccoci qui belli e splendenti come non mai la mattina dopo l'impresa. Un vero e proprio dramma.
Dead men walking.
Dopo un paio di giorni di camminate difficili con risate neanche tanto soffocate al lavoro e a casa, la deambulazione è andata via via migliorando e la nostra testa (il fisico no di sicuro) era già volta verso nuove e mirabolanti avventure.
A metà della settimana successiva al ritorno c'è stata l'incisione della medaglia, momento solenne, una specie di incoronazione. Siamo andati al medaglificio, abbiamo consegnato il nostro prestigioso pezzo di metallo e abbiamo fatto incidere, nome e tempo.
Sostanzialmente ci siamo consegnati alla storia.
Usciti abbiamo bevuto un bel paio di bicchieri di bianco a testa, era ora dell'aperitivo.
Dopo un po' di giorni di totale empasse, un brusio cominciava a girare nell'aria, anzi, per essere precisi, nei cellulari: serviva una nuova impresa, lo status di eroe va coltivato giorno dopo giorno, spero l'abbiate capito.
Vi devo confessare la verità: la prima cosa che ho detto, tornato da Parigi, è stata: "non farò mai più una maratona in vita mia", e ne ero davvero convinto; ma gli altri non erano del mio stesso avviso, anzi e allora, un po' per orgoglio, un po' per orgoglio, ho contribuito a mantenere il gruppo compatto.
Formazione a testuggine e via, i Galli ci avrebbero temuto.
Senza se e senza ma il metronomo, affettuoso nome con cui chiamiamo clodrunner, si iscriveva (trascinando con sè anche la madrina) alla maratona di Amsterdam e così la storia si ripeteva, alla spicciolata ci iscrivevamo tutti.
Nei giorni seguenti la maratona, e non solo, eravamo chiaramente e giustamente monotematici, parlavamo solo di correre, correre e ancora correre; tutto questo nostro bombardamento psicologico ha però portato i suoi frutti: ad oggi siamo un gruppo misto di più di 10 persone, pronte e cariche per andare ad Amsterdam, chi a fare la maratona intera, chi a fare la mezza. Questo poco conta.
Personalmente sono molto contento di ciò e devo dire che un pochino invidio coloro che vengono con noi e sono alla prima esperienza maratoneggiante per il semplice motivo che, amio modesto parere, la prima maratona è un po' come il primo amore: ti fa soffrire un casino, ma non te lo scordi mai.
Non è finita qui però.
La maratona già non ci basta, vogliamo traguardi più duri, più leggendari ed ecco che è nata l'idea, sempre più concreta ogni giorno che passa, di compiere due imprese che forse sarebbe meglio chiamare follie. Imprese che metteranno a dura prova il nostro fisico, ma che noi consideriamo il punto di partenza verso una nuova era, sicuramente non un punto d'arrivo, perchè l'eroe sa che non deve mai sentirsi arrivato.
C'è sempre qualcosa da dimostrare e il Sahara ci darà una mano a dimostrarlo.

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